Un post banale, ma, a quanto pare, necessario: c’è solo una regione per la quale, mentre vi scriviamo, negli Stati Uniti si sta registrando una quasi assenza di inflazione dei prezzi
Se leggete in giro, a ragione, che negli Stati Uniti l’inflazione è vicinissima allo 0% nonostante la politica monetaria ultra-espansiva della Federal Reserve, vi sarà capitato di interrogarvi sulle nozioni “tradizionali” di macroeconomia di cui si sente tanto parlare ogni giorno.
Se fate parte (e ce lo auguriamo) di quella parte della popolazione che si fa due domande su quanto legge in giro, vi sarete anche dati una risposta più o meno convincente sull’assenza di inflazione negli USA.
Una roba simile a questa, per intenderci:
(Doug Short)
Quei furbetti che scrivono in giro che negli USA non c’è inflazione lo fanno spiattellandovi davanti i dati della cosiddetta “inflazione headline” (che poi lo facciano consciamente o meno, questo è un mistero che non possiamo risolvere). In sostanza, viene detto che il prezzo medio di un paniere di beni (che include anche alimentari ed energia) non sta registrando un’inflazione significativa.
Sempre se fate parte del gruppo di persone che si fa qualche domanda sulla realtà, la vostra reazione di fronte ai dati headline dovrebbe essere una cosa del tipo: “E stica…”, perché, come ormai sanno anche i muri, c’è stato un piccolo avvenimento che ha fatto completamente impazzire l’indicatore in questione:
(Doug Short)
Sarebbe bello, dunque, che i simpaticoni del “eh ma negli Stati Uniti non c’è inflazione” cominciassero a spiegare che, di fronte ad uno dei maggiori crolli di sempre del prezzo del petrolio. Ancora meglio: sarebbe stupendo se si cominciasse a guardare all’inflazione “core”, che esclude il prezzo dell’energia e degli alimentari (da sempre soggetti a periodi di volatilità maggiori rispetto agli altri beni):
(Doug Short)
Stabilito, dunque, che l’inflazione in realtà c’è (e che l’indice headline si riallinerà presto a quello core), il dibattito si sposta da un’altra parte.
Paul Krugman, premio Nobel per l’economia, ritiene che un rialzo dei tassi da parte della Fed in questo momento darebbe un messaggio sbagliato ai mercati: quello che l’inflazione al 2% è un valore massimo al di sotto del quale si vuole restare, e non un valore medio di lungo periodo.
Su questo Krugman non sembra avere torto, ma occorre chiedersi una cosa: siamo certi che un rialzo dei tassi di 0,25 punti percentuali possa davvero frenare l’inflazione ? In fondo, pensandoci bene, i tassi rimarrebbero molto bassi.
La vera domanda che cominceremo a porci d’ora in poi non sarà dunque più la stessa. Ora la sfida sarà capire quando la Fed rialzerà i tassi per la seconda volta, in quanto, a quel punto, avremo un’idea più o meno chiara del ritmo al quale si intende dare una stretta creditizia all’economia americana (e, dunque, a quella mondiale).
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