Riportiamo un articolo da “Il Sole 24 Ore” che ci dimostra come, nell’economia reale, tagliare i tassi non basti, bisogna colpire le banche che non prestano soldi
Puoi anche portare i tassi a zero, ma se la cinghia di trasmissione tra banche ed economia reale è rotta, allora non si sortirà nessun effetto. E quella cinghia è in realtà rotta da tempo. E non è detto che il recente taglio dei tassi da parte della Bce possa sbloccare l’idraulica inceppata del credito. Da gennaio 2012 la contrazione dei prestiti a imprese e famiglie è stata del 3% con lo stock dimunuito di 45 miliardi, due volte l’incasso dell’Imu. Soldi venuti meno, proprio quando l’Italia cominciava ad affondare nella recessione.
La liquidità non esce dalle banche
E non è un problema di liquidità che manca alle banche. Tutt’altro. La Bce ha inondato di denaro a un tasso all’1% le banche italiane proprio a cavallo tra il 2011 e l’avvio del 2012. Circa 250 miliardi affluiti nelle casse degli istituti. E che sono rimasti tutti lì. O meglio sono finiti ad acquistare titoli di Stato e proprie obbligazioni.
Il pieno di BTp
In pancia le banche italiane hanno oggi 390 miliardi di bond governativi. Un’incetta lucrosa dato che si poteva guadagnare il differenziale di rendimento tra l’1% del costo dei finanziamenti Bce e il 3-4% garantito dai BTp. E se si va a vedere i bilanci bancari si scopre ceh l’unica voce in forte rialzo è quella delle commissioni di negoziazioni sui titoli. Il trading finanziario ha tenuto sù i ricavi delle banche, affossate per il resto dalle perdite sulle sofferenze ai loro massimi storici . In fondo è più remunerativo (e in apparenza meno rischioso) investire in titoli di debito che finanziare le imprese. Ma è proprio qui che si è chiuso il rubinetto e occlusa l’idraulica del denaro. Che non solo non passa dalle banche alle imprese, ma retrocede.
Le sofferenze fanno paura
Nessun banchiere lo dirà mai apertamente ma la verità è che le banche, atterrite dal cumulo (127 miliardi) di crediti a rischio non vogliono prestare nuovi denari alle imprese, in particolare alle Pmi. Pesa lo smaltimento doloroso, e che fiacca i bilanci, delle sofferenze pregresse e la recessione che taglia fatturato e utili delle Pmi rende il credito oggi ancora più rischioso (per le banche) di ieri. Un circolo perverso. Più la recessione morde, più si alza il rischio e il costo del credito, più si accentua il credit crunch.
Tassi troppo alti
L’inghippo che produce e sostiene la forte stretta creditizia in Italia e in particolare sulle Pmi è rappresentata dal divario dei tassi. Non quelli di politica monetaria, ma quelli applicati dalle banche. Le statistiche dicono che il tasso medio sugli impieghi è del 3,4%. Ma lì c’è dentro di tutto: dall’Eni alla piccola media impresa con pochi addetti. Per prestiti fino a un milione di euro il tasso sale al 4,4% e per durate da 1 a 5 anni si sale al 6%. L’80% del tessuto produttivo italiano finisce così per cadere sui tassi al 6%. Alti, se si pensa che fino all’altro ieri il tasso Bce era allo 0,75% e da ieri è dello 0,5%. Ma cosa costa la raccolta di denaro per le banche? Poco tutto sommato. Siamo, secondo dati Abi, per la raccolta da clientela (quella prevalente) al 2,03%. Per prestare quattrini quindi le banche chiedono un margine quasi doppio se non triplo se si tratta di piccole e medie imprese. E così ecco servito il paradosso. Il denaro non è mai stato così a buon mercato, ma in realtà costa caro nel passaggio dalle banche alle imprese.
Il divario con la Germania
E il divario è impietoso con la locomotiva d’Europa. E questa volta le banche italiane c’entrano poco. C’entra il differenziale di rischio/rendimento tra i due Paesi e il rischio relativo di credito. Un recente studio di Morgan Stanley ha comparato il costo di finanziamento tra una piccola media impresa italiana e tedesca: ebbene il differenziale è di 300 punti base, il 3% in più a sfavore dell’impresa italiana. Così si acuisce ulteriormente il divario tra le due economie.
Articolo di Fabio Pavesi tratto da “Il Sole 24 Ore”
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