(ripubblicazione articolo del 10 giugno 2014)
Il 59,6 % dei manager investe in settori come design, moda, alimentare. Tra i manager più creativi svettano gli over 40. Oltre i 50 solo l’1,4% dei vertici è incline al cambiamento.
Nelle strategie aziendali italiane, “innovazione” è una parola chiave. Ma come trasformare una parola in qualcosa di concreto? Come si partorisce l’idea geniale capace di far decollare gli affari? Il fattore creatività gioca un ruolo importante nel background del manager e può rappresentare un punto di partenza. Per il 29,4% dei colletti bianchi l’aggiornamento professionale rappresenta l’asso nella manica di chi è al comando, secondo un sondaggio di Wobi su un campione di 3.500 manager che hanno partecipato negli anni al World Business Forum di Milano. Al secondo posto c’è il networking (22,9%), seguito dal benchmarking (21,6%), dai social media (13,1%) e dalle partnership con altre organizzazioni (11,1%). Ovviamente, burocrazia e paura di sbagliare frenano gli slanci degli audaci rampolli. Risultato: si innova poco e male. La fascia di età più creativa in ambito lavorativo è quella dai 30 ai 40 anni, per il 76,1% del campione, mentre gli under 30 conquistano la seconda posizione (16,9%), distaccati dai capi con i capelli bianchi: soltanto il 5,6% dei 40-50enni e l’1,4% dei 50-55enni è considerato incline a modificare lo status quo. Eppure non siamo messi tanto male. L’industria italiana è capace di grandi exploit e ha brand riconosciuti in tutto il mondo, proprio per la loro inventiva. Infatti, nella classifica dei Paesi più innovativi e creativi, sempre secondo la ricerca, l’Italia si trova in ottava posizione. Sul podio: Usa, Corea e Giappone. Subito dopo si posizionano Cina, Brasile, India e Germania, mentre Inghilterra, Francia e Russia sono alle nostre spalle.Tra i settori economici percepiti come più creativi e innovativi spiccano l’arredamento e il design (28,4%), la moda (25,7%) e il food & beverage (16,7%). In coda: turismo, banche e servizi finanziari. Nell’arredamento e nella moda abbiamo grandi imprenditori in grado di rinnovarsi continuamente. Si tratta di visionari che hanno saputo costruire grazie all’ingegno aziende che portano il loro cognome. I dirigenti devono imparare a osare, a prendere rischi, sfidando i propri limiti per emergere. Dobbiamo cercare di arricchire la cultura economica italiana con una formazione manageriale di respiro internazionale e un approccio che trasformi le debolezze in punti di forza. Un punto di vista interessante è quello di Susan Cain che spiega il metodo per sfruttare la forza degli introversi per cambiare il modo di lavorare, trovando nuovi leader. A volte le persone che parlano più forte, che dominano la scena, non sono quelle in grado di proporre le idee migliori, per cui è importante ascoltare tutti, se si vuole puntare sulla creatività. Ma quanto investono in innovazione le imprese italiane? Tra le aziende dei manager intervistati, il 38% investe fino al 2% del fatturato, il 21% dal 2 al 5%, un altro 21% usa dal 5 al 10% e l’11,3% va oltre il 10% di fatturato. Con questi capitali il 24,7% delle aziende ha migliorato prodotti e servizi esistenti, il 22,4% ha lanciato nuovi prodotti o ha modificato i processi interni ed esterni, mentre il 15,3% ha cambiato i canali di vendita. Per le aziende non è facile reinventarsi nell’incertezza, eppure lo sforzo va fatto per mantenere la competitività, tenendo a mente i fattori chiave capaci di cambiare gli assetti strategici.
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