Da quando lo scandalo dei “Panama Papers” è scoppiato, la scorsa settimana, non è passato un giorno senza che un politico di fama mondiale tra i tanti decidesse di condannare il concetto di paradiso fiscale, ma ci rendiamo conto dell’ipocrisia della faccenda ?
No in questo post non approfondiremo il contenuto dei “Panama Papers”, non andremo a fare i conti in tasca all’ormai ex primo ministro islandese, non guarderemo ai movimenti bancari di David Cameron e non parleremo della carriera degli amici d’infanzia di Putin. Questa informazione la si trova ovunque, e ovunque si legge una condanna generalizzata di tutti quei paesi considerati “paradisi fiscali”.
Ma dato che siamo tutti finanzieri con la dichiarazione dei redditi degli altri, ci siamo chiesti una cosa: a che cosa pensa il cittadino medio quando sente parlare di “paradisi fiscali” ? Panama ? Le isole Cayman ? Lussemburgo ?
Se prendiamo l’indicatore di segretezza finanziaria relativa allo scorso anno, ci troviamo di fronte alla situazione seguente:
Ora, passino le Cayman e Panama, ma ci rendiamo conto del problema presentato da questa lista ?
Gli Stati Uniti in seconda posizione (mai sentito parlare della città di Reno nel Nevada ?), poi troviamo la Germania, il Giappone, il Regno Unito, ed altri.
Facciamo un ragionamento semplice: l’unica organizzazione internazionale che fino ad ora si è occupata del tema dei paradisi fiscali è il G20. Se vediamo il G20 come la “mente” di questa operazione anti-evasione, il braccio è stato, fino ad oggi, l’OCSE tramite la rappresentanza di alcune istituzioni di regolamentazione finanziaria internazionale.
Il problema è ovvio: come possiamo pensare di risolvere il problema quando lo stesso meccanismo incaricato di affrontare la questione (il G20) ha un evidente forte conflitto di interessi ? Nel G20 troviamo Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Germania ed altri paesi figuranti nella lista riportata più sopra.
Lo sentite anche voi l’odore di ipocrisia, non è vero ?
Roba da matti
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