di Nicolò Gobbi (smartweek.it)
L’evoluzione dello scenario politico ed economico mondiale ha negli ultimi anni ridisegnato gli equilibri tra paesi in via di sviluppo e paesi sviluppati, e spesso, a questo proposito, si fa riferimento a uno spostamento del baricentro delle relazioni internazionali da ovest a est.
Inizialmente si trattava di spostamenti di attività a basso valore aggiunto. La capacita’ di produrre a basso costo ha comportato lo spostamento di interi settori industriali, esempio italiano il tessile, in Asia. Un ulteriore stadio evolutivo è stato il passaggio di settori con un livello di sofisticazione ben più alto, di cui l’elettronica di consumo è un esempio notevole: la sud coreana Samsung e la cinese Lenovo sono rispettivamente le più grande società tecnologica del mondo e il più grande produttore di computer del mondo.
Date le premesse, il mondo occidentale si è specializzato in attività difficili da replicare, e che rappresentano gran parte del valore riflesso nelle economie moderne. Intangibles. Innovazione, ricerca, design, proprieta’ intellettuale, brevetti, alta tecnologia, cultura come principali fonti di competitività. Apple sui suoi prodotti non scrive “Made in Usa” ma “Designed in California“. Che sembra una barzelletta a prima vista, ma fornisce un’idea precisa sullo stato delle cose. Il forte sviluppo del “Made in Italy” come premium brand negli ultimi dieci anni non è casuale. Abbiamo bisogno di aggiungere valore ad ogni attività, perché è il nostro, forse unico, modo per competere con un continente che ha più di quattro miliardi (4.000.000.000) di abitanti. Abitanti che in prospettiva ambiscono, lavorando duro, ad avere giustamente il nostro stesso standard di vita.
Essere capaci di mettere le persone nelle giuste condizioni per innovare, creare, inventare ed esplorare nuove frontiere dovrebbe quindi essere una prerogativa fondamentale del nostro sistema economico. In questo contesto il sistema dell’istruzione rappresenta di gran lunga il tassello più importante. Per questo motivo non va soltanto difeso. Va migliorato e ampliato, continuamente. Nel lungo termine a fare la differenza non sono i prodotti che produciamo, o le fabbriche, o le aziende o le istituzioni, ma le persone che senza sosta creano, migliorano, gestiscono e rendono possibile quanto di cui sopra.
In un articolo apparso su Forbes il 30 aprile scorso si fa riferimento al fatto che le istituzioni di formazione superiore asiatiche guidano la classifica del Times sulle cento migliori università del mondo fondate negli ultimi cinquanta anni . Taiwan ha il numero maggiore di istituti con quattro, Hong Kong tre, e la Corea del Sud ha ben due università in Top 3. Ciò significa che è possibile creare in pochi anni, con il giusto supporto e la giusta visione, un sistema di istruzione di livello mondiale che possa competere con più blasonati e tradizionali sistemi che hanno avuto secoli di sviluppo.
Nonostante questa non sia di per sé una cattiva notizia in alcun modo, dovrebbe essere un campanello di allarme.
A est stanno investendo enormemente per migliorare il loro capitale umano e intellettuale. Noi cosa facciamo? Se vogliamo mantenere il nostro ruolo nel mondo, dovremmo fare altrettanto, ora. In tal senso quando Briatore suggerisce ai giovani di aprire una pizzeria non sembra capire che in tal modo difficilmente potremo mantenere un’economia più evoluta di quella jamaicana. Nulla di personale contro la pizza, ma dobbiamo e possiamo fare di più. Non ci sono motivi per essere pessimisti riguardo al futuro, premesso che si cominci a fare le scelte giuste.
http://www.timeshighereducation.co.uk/world-university-rankings/2014/one-hundred-under-fifty
Articolo tratto da “Smartweek.it“
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