In attesa del meeting dell’OPEC di settembre, il settore dello shale oil americano cerca di rimettersi in carreggiata
Tra marzo e agosto il numero di trivelle attive nell settore petrolifero americano è passato da 300 a 400 unità, un mirabolante +33% che stupisce molti osservatori:
L’ultima volta che le trivelle attive aumentarono di 100 unità in un lasso di tempo così stretto, eravamo nel 2014, quando il petrolio sotto 100$ al barile era uno scenario praticamente inimmaginabile:
Quello che non torna, però, è che tutto ciò accade mentre le scorte di petrolio americane sono ad un massimo assoluto:
La spiegazione più banale sembra reggere piuttosto bene: il numero di trivelle attive sale perché il prezzo del barile è visto in rialzo (date un’occhiata all’andamento del rublo negli ultimi mesi, un buon indicatore delle aspettative del mercato sul prezzo del petrolio). Il grafico più importante di questo post è, però, il seguente:
Dal 2007 alla fine del 2015 l’import di petrolio negli Stati Uniti è sceso costantemente, fino a quando l’OPEC, innervosito dall’ascesa del settore dello shale oil americano, ha deciso di dare un taglio a questo trend. Nel 2016, l’import americano di petrolio è tornato a crescere.
In uno scenario del genere, l’OPEC ha interesse a far capire chi comanda e, dunque, saremmo molto stupiti se a settembre il mega-cartello di settore decidesse di congelare la produzione di petrolio. In fondo, gli USA ci stanno dimostrando come non ci voglia molto tempo a riattivare delle trivelle sul proprio territorio, e all’OPEC quest’ultima ripresa non può certo far piacere.
Lascia un commento per primo